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lunedì 11 ottobre 2010

Il bilinguismo medico fra Tardoantico e Medioevo

Convegno Bilinguismo Medico                                                            

domenica 18 aprile 2010

01. RIVOLUZIONE TARDOROMANA (86)

01. RIVOLUZIONE TARDOROMANA (86)                                                            

giovedì 5 marzo 2009

Tardoantico

TARDOANTICO (letture consigliate)

Gli approfondimenti sul mondo tardoantico devono prendere le mosse da P. BROWN, Il mondo tardo antico. Da Marco Aurelio a Maometto, Torino, Einaudi, 1974 e Genesi della tarda antichità, Torino, Einaudi, 2001. L. CRACCO RUGGINI, La fine dell’impero e le trasmigrazioni dei popoli, in La Storia. I grandi problemi dal medioevo all’età contemporanea, a c. di N. Tranfaglia e M. Firpo, II, Il Medioevo, 2, Popoli e strutture politiche, Torino, Utet, 1986, pp. 1-52, propone una trattazione aggiornata ed un profilo della produzione storiografica sul Tardoantico. A.SCHIAVONE, Il mondo tardoantico, in Storia medievale, Roma, Donzelli, 1998, pp. 43-64, H.BRANDT, L’epoca tardoantica, Bologna, Il Mulino, 2005 (da Diocleziano a Giustiniano), e soprattutto P.HEATHER, La caduta dell’Impero Romano. Una nuova storia, Milano, Garzanti, 2006 e J.M.H.SMITH, L’Europa dopo Roma. Una nuova storia culturale (500-1000), Bologna, Il Mulino, 2008, offrono le sintesi più recente e completano l’informazione bibliografica.

Per la formazione dell’Occidente latino-germanico il rinvio d’obbligo è agli interventi di Giovanni Tabacco, compendiati in G.TABACCO-G.G.MERLO, Medioevo, Bologna, Il Mulino, 1989, pp. 15-119. Sui barbari e i regni romano-barbarici si vedano M.ROUCHE, I regni latino-germanici (secoli V-VIII) e G.FOURNIER, Il regno franco, in La Storia, cit., pp. 89-144. S. GASPARRI, Prima delle nazioni. Popoli, etnie, regni fra Antichità e Medioevo Roma, La Nuova Italia Scientifica, 1997. W.POHL, L’universo barbarico; F.MARAZZI, Dall’impero d’Occidente ai regni germanici; P. GUGLIELMOTTI, I franchi e l’Europa carolingia, in Storia medievale, cit., pp. 65-112 e 175-182, porgono sintesi molto accurate. I recenti saggi di G.ARNALDI, L’Italia e i suoi invasori, Roma-Bari, Laterza, 2002, C.AZZARA, Le invasioni barbariche, Bologna, Il Mulino, 1999 e L’Italia dei barbari, Bologna, Il Mulino, 2002, consegnano un profilo informato ed equilibrato e indicano tutta la bibliografia utile, cui si può aggiungere, per i Vandali, N. FRANCOVICH ONESTI, I Vandali. Lingua e Storia, Roma, Carocci, 2002.

Su tutto il periodo: A. SAITTA, 2000 anni di storia, I, Cristiani e barbari, Roma- Bari, Laterza, 1978; II, Dall’impero di Roma a Bisanzio, ivi, 1979; III, Giustiniano e Maometto (in buona parte dedicato ai regni romano-barbarici), ivi, 1982. Questi volumi presentano una ricchissima trattazione articolata in Lineamenti storici, Documenti, Pagine di critica storica, Prospettive storiografiche.

mercoledì 4 marzo 2009

Ammiano Marcellino, Res gestae libri XXXI

La prima descrizione degli Unni di Attila

Ammiano Marcellino (330ca.-391ca.), nei suoi Res gestae libri XXXI (i primi 13 dei quali perduti) traccia una storia dell'impero romano dall'ascesa di Nerva (96) alla morte di Valente nella Battaglia di Adrianopoli (378) contro i Visigoti, e si pone in continuità con l'opera di Cornelio Tacito (Germania, 98). La critica recente ha rilevato la forza retorica nella sua narrazione e l’impegno nel perseguire un preciso programma religioso e politico pagano, che lo portò a contrapporre Costanzo II a Giuliano l’Apostata, restauratore del paganesimo.

"Il popolo degli Unni, poco noto agli antichi storici, abita al di là delle paludi Meotiche [zona della Sarmazia corrispondente alla regione dell’attuale Mare di Azov], lungo l’oceano glaciale, e supera ogni limite di barbarie. Siccome hanno l’abitudine di solcare profondamente con un coltello le gote ai bambini appena nati, affinché il vigore della barba, quando spunta al momento debito, si indebolisca a causa delle rughe delle cicatrici, invecchiano imberbi, senz’alcuna bellezza e simili ad eunuchi. Hanno membra robuste e salde, grosso collo e sono stranamente brutti e curvi, tanto che si potrebbero ritenere animali bipedi o simili a quei tronchi grossolanamente scolpiti che si trovano sui parapetti dei ponti. Per quanto abbiano la figura umana, sebbene deforme, sono così rozzi nel tenore di vita da non aver bisogno né di fuoco, né di cibi conditi, ma si nutrono di radici di erbe selvatiche e di carne semicruda di qualsiasi animale, che riscaldano per un po’ di tempo tra le loro cosce ed il dorso dei cavalli. Non sono mai protetti da alcun edificio, ma li evitano come tombe separate dalla vita d’ogni giorno. Neppure un tugurio con il tetto di paglia si può trovare presso di loro, ma vagano attraverso montagne e selve, abituati sin dalla nascita a sopportare geli, fame e sete. Quando sono lontani dalle loro sedi, non entrano nelle case a meno che non siano costretti da estrema necessita, né ritengono di essere al sicuro trovandosi sotto un tetto. Adoperano vesti di lino oppure fatte di pelli di topi selvatici, né dispongono di una veste per casa e di un’altra per fuori. Ma una volta che abbiano fermato al collo una tunica di colore sbiadito, non la depongono né la mutano finché, logorata dal lungo uso, non sia ridotta a brandelli. Usano berretti ricurvi e coprono le gambe irsute con pelli caprine e le loro scarpe, poiché non sono state precedentemente modellate, impediscono di camminare liberamente. Per questa ragione sono poco adatti a combattere a piedi, ma inchiodati, per così dire, su cavalli forti, anche se deformi, e sedendo su di loro alle volte come le donne, attendono alle consuete occupazioni. Stando a cavallo notte e giorno ognuno in mezzo a questa gente acquista e vende, mangia e beve e, appoggiato sul corto collo del cavallo, si addormenta così profondamente da vedere ogni varietà di sogni. E nelle assemblee in cui deliberano su argomenti importanti tutti in questo medesimo atteggiamento discutono degli interessi comuni. Non sono retti secondo un severo principio monarchico, ma, contenti della guida di un capo qualsiasi, travolgono tutto ciò che si oppone a loro. Combattono alle volte se sono provocati ed ingaggiano battaglia in schiere a forma di cuneo con urla confuse e feroci. E come sono armati alla leggera ed assaltano all’improvviso per essere veloci, così, disperdendosi a bella posta in modo repentino, attaccano e corrono qua e là in disordine e provocano gravi stragi. Senza che nessuno li veda, grazie all’eccessiva rapidità, attaccano il vallo e saccheggiano l’accampamento nemico. Potrebbero poi essere considerati senz’alcuna difficoltà i più terribili fra tutti i guerrieri poiché combattono a distanza con giavellotti forniti, invece che d’una punta di ferro, di ossa aguzze che sono attaccate con arte meravigliosa, e, dopo aver percorso rapidamente la distanza che li separa dagli avversari, lottano a corpo a corpo con la spada senz’alcun riguardo per la propria vita. Mentre i nemici fanno attenzione ai colpi di spada, quelli scagliano su di loro lacci in modo che legate le membra degli avversari, tolgono loro la possibilità di cavalcare o di camminare. Nessuno fra loro ara né tocca mai la stiva di un aratro. Infatti tutti vagano senza aver sedi fisse, senza una casa o una legge o uno stabile tenore di vita. Assomigliano a gente in continua fuga sui carri che fungono loro da abitazione. Quivi le mogli tessono loro le orribili vesti, qui si accoppiano ai mariti, qui partoriscono ed allevano i figli sino alla pubertà. Se s’interrogano sulla loro origine, nessuno può dare una risposta, dato che è nato in luogo ben lontano da quello in cui è stato concepito ed in una località diversa è stato allevato. Sono infidi ed incostanti nelle tregue, mobilissimi ad ogni soffio di una nuova speranza e sacrificano ogni sentimento ad un violentissimo furore. Ignorano profondamente, come animali privi di ragione, il bene ed il male, sono ambigui ed oscuri quando parlano, né mai sono legati dal rispetto per una religione o superstizione, ma ardono di un’immensa avidità di oro. A tal punto sono mutevoli di temperamento e facili all’ira, che spesso in un sol giorno, senza alcuna provocazione, più volte tradiscono gli amici e nello stesso modo, senza bisogno che alcuno li plachi, si rappacificano".

martedì 3 marzo 2009

SALVIANO DI MARSIGLIA, De Gubernatione Dei

dura fiscalità romana e fuga verso i territori barbarici (V sec.)

Il brano è tratto dal De Gubernatione Dei di Salviano di Marsiglia (400 ca.-480 ca.), che nella sua opera inserì i rapporti tra romani e barbari in un progetto provvidenziale.

[SALVIANO, De gubernatione Dei, V, 4-5, in IDEM, Oeuvres, II, a c. di G. LAGARRIGUE, Sources chrétiennes, 220, Paris, Les Editions du Cerf, 1975, pp. 320-29.]

"Per ciò che riguarda i nostri rapporti coi Goti e coi Vandali, in che cosa ci possiamo ritenere superiori o anche paragonarci a loro? In primo luogo, riferendoci all’amore e alla carità […], quasi tutti i barbari, almeno quelli che appartengono ad una stessa gente e hanno lo stesso re, si amano vicendevolmente, mentre quasi tutti i romani si perseguitano tra loro […]. Ora in molti si esprime una nuova e impensabile deviazione del senso morale: per qualcuno è poco essere felice; è necessario che siano infelici gli altri. Da quest’empia mentalità discende ancora una crudeltà ignota ai barbari e invece familiare ai romani: l’esazione delle imposte permette loro di rovinarsi reciprocamente. Per meglio dire, non reciprocamente: la cosa sarebbe più tollerabile se ciascuno dovesse sopportare quanto avesse fatto soffrire agli altri. Ciò che è più grave, è che molti sono colpiti da pochi, per i quali la riscossione delle imposte è divenuta una rapina e che trasformano i titoli del debito fiscale in una fonte di profitto privato. E non sono soltanto i funzionari più elevati, ma anche gli impiegati dei gradi più bassi; non solo i giudici, ma anche i loro sottoposti. In quali città, anzi in quali municipi e in quali villaggi i curiali non sono altrettanti tiranni? D’altra parte si fanno vanto di questa qualifica, perché essa sembra sinonimo di potenza e di onore. È infatti proprio di tutti i briganti di strada rallegrarsi e inorgoglirsi se vengono considerati più crudeli di quanto non siano in realtà. Quale è dunque il luogo, come dissi, dove i capi delle città non divorino i beni delle vedove e degli orfani e quelli di tutti gli uomini di chiesa? Infatti questi ultimi vengono considerati come orfani e vedove, perché non vogliono difendersi per rispettare i loro voti, o non possono farlo per la loro umiltà e per la loro innocenza. Nessuno di costoro è dunque sicuro e nessuno, eccetto i più potenti, è immune dalla devastazione del latrocinio, se non quelli che sono della stessa stoffa dei briganti. Le cose sono degenerate a tal punto che si salva solo chi è malvagio. Ma in verità, tra tanti che spogliano i buoni, forse ci sono alcuni che prestano soccorso contro questa generale rapina che, come dice la Scrittura, strappano l’indigente e il povero dalle mani del peccatore? (Ps. 82, 4). Non vi è chi operi il bene, forse solo uno (Ps. 14, 3). E la Scrittura dice “forse solo uno” perché la rarità dei buoni è tanto grande che il loro numero sembra ridursi a una sola unità. Chi infatti può recare soccorso agli oppressi e agli afflitti, dal momento che neppure i sacerdoti del Signore sono in grado di resistere alla violenza dei malvagi? Molti di loro, o tacciono o è come se tacessero, anche quando parlano, e molti lo fanno non per mancanza di fermezza, ma di proposito e a ragion veduta […]. Tacciono anche coloro che possono parlare, perché sono indulgenti con i mascalzoni, né vogliono metterli dinanzi alla forza dell’aperta verità, per timore di renderli ancora peggiori. Così, intanto, i poveri sono rovinati, le vedove gemono, gli orfani vengono calpestati, a tal punto che molti di loro, e non di oscuri natali e di raffinata educazione, si rifugiano presso i nemici, per non morire sotto i colpi della pubblica persecuzione, e cercano presso i barbari l’umanità romana, dal momento che non possono sopportare presso i romani la barbara inumanità.E, sebbene siano diversi per usanze, siano diversi per lingua e anche, per così dire, per il fetore che emana dai corpi e dalle vesti dei barbari, preferiscono tuttavia dover sopportare tra i barbari una profonda differenza di costumi, piuttosto che tra i romani una devastante ingiustizia. Perciò, un po’ alla volta, emigrano verso i Goti o i Bagaudi, o verso altri territori dominati dai barbari, né si pentono di essere emigrati; preferiscono vivere liberi sotto un’apparenza di prigionia che vivere prigionieri sotto un’apparenza di libertà".


Re Ostrogoti

CORNELIO TACITO, Germania

Germani senza tradizione urbana (I sec.)

[CORNELIO TACITO, Germania, lib. XVI (98)]

“È noto che i Germani non hanno città e neppure abitazioni vicine le une alle altre. Abitano isolati e sparsi dove li attrae una fonte, un campo, un bosco e fondano i loro villaggi, non come da noi, con edifici vicini e addossati gli uni agli altri, ma circondano ciascuna abitazione di uno spazio libero, sia contro pericoli degli incendi, sia per imperizia nel costruire. Non adoperano pietre o mattoni, ma legname grezzo, senza alcuna cura di eleganza. Usano spalmare diligentemente alcune parti della casa con una terra così fine e lucida che imita le decorazioni a colori”.

CASSIODORO, Variae

Norme sulla divisione delle terre tra Ostrogoti e Romani (V-VI sec.)

[Cassiodori Variae, I, II, 16, in MGH, Auctores Antiquissimi, a c. di Th. Mommsen, Hannover 1894]

"Ci piace riferire come nella ripartizione delle terze (parti delle terre) egli (Teodorico) unì sia i possessi che gli animi dei Romani e dei Goti. In effetti, mentre di solito dalla vicinanza scaturiscono contrasti tra gli uomini, per questi sembra che la comunione dei poderi sia diventata causa di concordia: accade infetti che, vivendo in comune, l'una e l'altra nazione giungano ad avere una sola volontà. Ecco un fatto nuovo e assai lodevole: dalla divisione dei beni è nato l'accordo dei popoli; attraverso i danni si è accresciuta l'amicizia fra i popoli e con la cessione di una parte del suolo si è acquistato un difensore, in modo che la generale sicurezza di tutti i beni possa essere garantita. Una sola legge, una uguale disciplina li unisce".