Il Nome Della Rosa (1986)
Fermenti religiosi tra XII e XIII secolo
I movimenti religiosi che agitarono i secoli XII e XIII propugnavano il ritorno alla povertà evangelica ed erano mossi dalla reazione contro la corruzione del clero, come nel secolo XI i movimenti cluniacensi e quelli popolari (patarini), solo che adesso la lotta si sposta in seno alla stessa Chiesa, corrotta per l’eccessiva ricchezza e potere e non più succube dell’impero, e sorgono numerose eresie.
I Catari (Albigesi), I Valdesi o Poverelli di Lione, i Gioachimiti, gli Apostolici o Dolciniani in Piemonte.
Innocenzo III (1198-1216), all’interno del suo programma teocratico, combatté le eresie: crociata contro gli Albigesi (1209); istituzione del Tribunale dell’Inquisizione (1215; affidato poi da Gregorio IX nel 1233 ai Domenicani); compromesso con gli ordini mendicanti.
In particolare, nel 1210 approvò la regola dei Frati Minori e nel 1216 quella dei Predicatori. Ma dopo la morte di San Francesco, l’ordine si divide in francescani conventuali (meno rigorosi e più vicini alle posizioni ufficiali del papato) e francescani spirituali (fedeli al principio della povertà evangelica).
Intanto, dopo il regno di Corrado IV (1254), l’impero attraversò la crisi del Grande Interregno (1254-1273), dopo di che Rodolfo d’Asburgo (1273-1291), Adolfo di Nassau (1292-1298) e Alberto I d’Asburgo (1298-1308) non si interessarono dell’Italia.
Quindi si succedettero (1308-1378) tre imperatori che tentarono invano di ristabilire il potere imperiale in Italia (vedi Enrico VII di Lussemburgo, Ludovico il Bavaro e Carlo IV di Boemia).
Il papato dopo Innocenzo III perde potere ed alla fine del XIII secolo:
Celestino V (1294) è “colui che fece per viltà lo gran rifiuto”.
Bonifacio VIII (1294-1303) porta avanti la politica di Nicolò II, Gregorio VII e Innocenzo III per l’affermazione della teocrazia papale, ma si scontra fatalmente con il potere crescente di Filippo IV il Bello.
Clemente V (vedi sopra).
Il pensiero politico italiano partecipa attivamente alle lotte del tempo sostenendo l’autonomia del potere temporale di fronte a quello spirituale e religioso:
Dante nel De Monarchia, composta in occasione della discesa di Enrico VII (1310-1313), sostiene che il potere dell’imperatore deriva direttamente da Dio e quindi libero da quello del papa: il cardinale Bertrando del Poggetto, legato pontificio, mise l’opera all’indice.
Marsilio da Padova nel suo Defensor pacis esalta Ludovico il Bavaro e sostiene addirittura con il supporto di fonti bibliche che l’imperatore deriva il suo potere dal popolo, sulla cui sovranità si fonda la sovranità della Chiesa stessa.
Guglielmo di Occam (1290-1349), francescano docente a Oxford, sostenne un radicale empirismo, in base al quale fede e ragione erano separate, come fede e scienza e, in campo politico, potere laico e potere ecclesiastico.
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