martedì 11 maggio 2010

MdA 02


Il Mestiere Delle Armi (2001)


GIOVANNI DALLE BANDE NERE (di Mario Veronesi)

   Alla morte del papa Leone X dè Medici, in segno di lutto fa abbrunire le insegne, diventa così GIOVANNI DALLE BANDE NERE.  Nato a Forlì il 6 aprile 1498 da Giovanni dè Medici detto il popolano, e da Caterina Sforza la signora guerriera di Forlì e Cesena, che aveva mostrato tutta la sua forza, nella vana lotta contro Cesare Borgia sulla rocca forlivese.  Caterina, in onore dello zio duca di Milano, aveva chiamato il figlio Ludovico, ma alla morte del popolano a ricordo di questo suo secondo marito, gli cambiò il nome in Giovanni.  Per tutto il tempo che Caterina fu prigioniera del Borgia a Castel S. Angelo, il piccolo Giovanni fu affidato alla sorellastra Bianca Riario e visse in un convento; riottenuta la libertà, Caterina si ritirò con il figlio nella villa di Castello. Nel 1509 la giovane Sforza morì e l'undicenne Giovanni, fu messo sotto la tutela del canonico Francesco Fortunati (e di Jacopo Salviati ricchissimo fiorentino), imparentato con i Medici come marito di Lucrezia, figlia del Magnifico.  Non fu facile per il Salviati controllare Giovanni, gli scappava da tutte le parti, andando in giro per Firenze o nel castello di Trebbio in Val Mugello, si mescolava con i fattori e i contadini e conduceva la loro vita, il buon Salviati riparava alle bravate del "signor Giovannino" facendo pesare tutta la sua influenza per impedire più gravi conseguenze.  Nel 1511 però non poté evitargli il bando da Firenze, per l'uccisione di un suo coetaneo in una lite tra bande di ragazzi, l'anno dopo i Medici tornarono a Firenze e decadde automaticamente il bando per Giovanni.  Il Salviati nominato ambasciatore a Roma nel 1513, pensò bene di portarselo appresso, sperando che cambiando città il ragazzo si sarebbe calmato. Fu inutile, Giovanni si scatenò frequentando assiduamente i bassifondi di Roma, in di due mesi era ridotto l'ombra di se stesso perciò il Salviati lo riportò a Firenze, il tutore sperava molto nel papa suo cognato, Giuliano de Medici, fratello di Leone X e lo iscrisse nelle milizie pontificie. Il papa lo chiamò a Roma per utilizzarlo come "poliziotto", e Giovanni vi accorse con entusiasmo; il 5 marzo 1516 al comando di cento cavalieri già lo vediamo nella prima guerra contro Urbino al seguito di Lorenzo dè Medici; in soli ventidue giorni Francesco Maria della Rovere è cacciato; per il giovane Giovanni fu un banco di prova importante, che servì prima di tutto a lui stesso, come capitano e riuscì a trasmettere agli uomini disciplina e obbedienza; militari che erano per lo più elementi indisciplinati, rozzi e individualisti. Giovanni iniziò a porre le basi della sua compagnia, la voleva compatta, disciplinata nella struttura offensiva, ed uniforme nell'abbigliamento; in quella circostanza si rese conto che stava terminando il tempo della cavalleria pesante, e per la sua compagnia usò cavalli piccoli e leggeri, preferibilmente turchi o berberi con cui si destreggiava nelle imboscate; addestrò i suoi uomini, li divise in drappelli abituati ad una gran mobilità, che rimase la sua arma migliore. Chiunque entrava nelle bande di Giovanni, veniva da lui medesimo esercitato nell'uso delle armi, e nelle evoluzioni a cavallo, i gradi erano dati al merito sul campo, i vili e i traditori banditi dall'accampamento, e sovente condannati a morte. Sposò la figlia del Salviati, Maria ed ebbe un figlio di nome COSIMO, destinato un giorno a governare Firenze come primo Granduca. Nel 1520 lo troviamo nelle Marche, per domare i diversi signorotti ribelli, tra i quali Ludovico Uffreducci che sconfisse ed uccise in battaglia a Falerone. Nell'estate del 1521 è guerra grande, il papa Leone X si allea con Carlo V, contro Francesco I per rimettere gli Sforza a Milano e conquistare Parma e Piacenza; Giovanni è agli ordini di Prospero Colonna, comanda "le lance spezzate". A Vaprio nel novembre mette in mostra tutto il suo valore. Bisogna attraversare l'Adda in piena difeso dai francesi, Giovanni arriva al galoppo con le sue bande, si getta nella corrente seguito da duecento dei suoi, risale l'altra sponda, attacca i francesi e li mette in fuga, pochi giorni dopo cadono Pavia, Milano, Parma e Piacenza. Il primo dicembre muore Leone X, Giovanni per manifestare il proprio dolore fa abbrunare le insegne fino allora a righe bianche e viola, diventa così Giovanni dalle Bande Nere. I francesi prossimi ad una nuova campagna contro gli imperiali, gli promettono le terre d'Imola e Forlì che furono di sua madre, e lui accetta. Il 30 marzo del 1522 passa il Po, e si mette agli ordini del Lutrec che con 32.000 uomini non dovrebbe avere problemi contro i 19.000 del Colonna, invece alla Bicocca è il trionfo degli archibugeri, nella mischia Giovanni, resta ferito ad un braccio e si ritira a Cremona, circondata subito dagli imperiali, con lui è il maresciallo Lescun detto "lo Scudo" che stipula con il Colonna, una trattativa sottobanco per una resa a fine giugno, Giovanni s'indegna per il fatto, ma il maresciallo paga la Bande e queste lasciano Cremona. In agosto è di nuovo guerra, e Giovanni accorre al soldo degli imperiali, nel gennaio del 1524 sorprende il Baiardo nel sonno e lo costringe a scappare in camicia, facendo prigionieri oltre trecento soldati; ma lo scontro più importante è con i 5.000 Svizzeri calati dalla Valtellina in aiuto dei Francesi, Giovanni li ferma a Caprino Bergamasco, il mese dopo l'armata francese ripassa le Alpi e abbandona l'impresa. Nel frattempo a Roma è eletto un nuovo papa Medici, Clemente VII cugino di sua madre Caterina; il nuovo pontefice paga tutti i debiti di Giovanni, ma in cambio deve passare con i Francesi, e questo accade nel 1524 quando Francesco I ritorna in Lombardia e si schiera sotto Pavia, è il preludio della famosa battaglia e della cattura del re francese. Le Bande non saranno presenti allo scontro decisivo; in una scaramuccia il 18 febbraio 1525 Giovanni è ferito ad una coscia da un'archibugiata e deve farsi trasportare a Piacenza per essere medicato, le Bande Nere in parte lo seguono, in parte si sciolgono, la ferita è molto seria e Giovanni deve recarsi ad Abano per curarla e di lì a Venezia. Qui si presenta forse la più grand'occasione della sua vita, mettersi al servizio della Serenissima, ma per un tipo ribelle come lui non è consigliabile, si cava d'impaccio con una frase spiritosa: "Nè a me si conviene per esser io troppo giovane, nè ad essa perchè troppo attempata". Con il nuovo anno Franceso I torna libero e a Cognac nel maggio, nasce la nuova lega contro l'impero, il papa si schiera con il re francese, e Giovanni è chiamato ai suoi doveri militari; gli è affidato il comando delle truppe pontificie, con un regolare contratto di 2.500 ducati d'oro, il capitano generale è Francesco della Rovere, il 6 luglio indeciso su cosa fare di fronte alle soverchianti forze imperiali, abbandona Milano e si ritira a Marignano. Giovanni con i suoi novecento cavalieri rifiuta di ritirarsi di notte, gli sembrava una fuga davanti al nemico, come scrisse il Lomonaco ("riordinate le Bande come per una parata, chiamando a gran voce gli altri capitani e ripetendo ai nemici: "chi ci caccia", si ritirò lentamente senza che nessuno avesse l'ardire di molestarlo"). Nel novembre dello stesso anno un'orda di Lanzichenecchi guidati da Georg von Frundsberg calò in Lombardia in appoggio degli imperiali, sarebbero arrivati fino a Roma per un saccheggio rimasto famoso. Giovanni ebbe il coraggio di attaccare la retroguardia, presso Governolo alla confluenza del Mincio col Po, era in condizioni svantaggiose ma vinse, la sua ormai raffinata tecnica di guerriglia gli procurò il soprannome di "Gran Diavolo" da parte dei Tedeschi. La sera del 25 novembre, un colpo di falconetto colpì Giovanni allo stinco fracassandoglielo di netto, fu subito trasportato al paese più vicino S. Nicolò Po, si cerca un medico che non si trova, in una tormenta di neve è trasportato a Mantova, si rintraccia lo stesso chirurgo che ha già curato Giovanni la prima volta ad Abano, bisogna amputare la gamba. Il medico chiede che una decina d'uomini tengano fermo Giovanni. Sono le sue ultime ore, descritte dall'amico Pietro Aretino testimone oculare, in una lettera a Francesco Albizi scrisse: "Neanco venti disse sorridendo Giovanni mi terrebbero, presa la candela in mano, nel far lume a se medesimo, io me ne fuggi, e serratemi l'orecchie sentii due voci sole, e poi chiamarmi, e giunto a lui mi dice: io sono guarito, e voltandosi per tutto ne faceva una gran festa". Ma la cancrena era inarrestabile e nel giro di quattro giorni fu la fine, non volle morire con tutte le bende addosso, se ne liberò e si fece distendere su un lettino da campo, dove spirò la notte tra il 29 e il 30 novembre 1526. Fu sepolto tutto armato nella chiesa di S. Francesco. Giovanni dalle Bande Nere, fu un condottiero che idealmente ci riporta alle origini della "ventura", le sue armi furono: l'astuzia, il tranello e l'imboscata, nato per la guerriglia. Comandante non d'eserciti ma di bande, anche se regolarmente disciplinate, temerario nell'azione fulminea come lo furono i primi uomini d'arme. In questo senso Giovanni va considerato l'ultimo uomo di ventura.

Indicazione bibliografica:
  • Ricotti E., Storia delle compagnie di ventura in Italia, Torino 1844.
  • Mallet M., Signori e mercenari. La guerra nell'Italia del Rinascimento, Bologna 1983.
  • Rendina C., I capitani di ventura, Roma 1999.
  • Vignarca F., Mercenari S.p.A, Biblioteca Univ. Rizzoli, Milano 2004.
  • Contamine P., La guerra nel Medioevo, Bologna 2005.

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