lunedì 10 maggio 2010

NdR 07


Il Nome Della Rosa (1986)



IL MONACO BENEDETTINO (Gianni Lanini)

San Teodoro Studita dice che "monaco è colui che guarda solo a Dio, che desidera Dio solo, che si applica a Dio solo, che non volendo servire che Dio solo, essendo in pace con Dio, diviene causa di pace per tutti gli altri". In Occidente l'esperienza monastica comincia, in forma organizzata, intorno alla metà del VI secolo d.C., grazie a Benedetto da Norcia, fondatore dell'Ordine monastico benedettino. Dopo una breve tappa di vita eremitica, Benedetto capisce che, onde poter mettere insieme la contemplazione e le povertà umane, la miglior forma di vita monastica è quella cenobitica, che porta più persone a vivere insieme ma secondo il modello di solitudine e preghiera proprio dei monaci. Benedetto dette ai suoi monaci una regola da seguire, detta nelle varie fonti "Regula Monachorum", "Sancta Regula" o semplicemente Regula. C'è stato chi, nel XVIII secolo, ha affermato gli orari dei monaci benedettini, erano stati ideati dal fondatore con l'unico fine di mettere a sopire gli istinti e le passioni per il mondano che i monaci potevano avere. In realtà Benedetto ha come unico scopo l'elevazione spirituale del singolo monaco e la lode di Dio, dando anche alcune spiegazioni di certi orari, come la levata notturna per la preghiera ("Nel cuore della notte mi alzo a renderti lode", Sal. 118,62), o di certi obblighi, come il dover pregare comunitariamente per sette volte, oltre a quella notturna, durante la giornata ("Sette volte al giorno ti lodo", Sal. 118,64).

La giornata del monaco
Le giornate dei monaci erano pressoché tutte uguali, fatte le debite variazioni in relazione ai vari incarichi e le differenze che potevano riguardare tutta la comunità in occasione di feste o solennità. Essa era scandita in maniera perfetta dal susseguirsi dei vari momenti in cui la comunità si ritrovava per le preghiere, le cosiddette "Ore Canoniche", tenendo come punti fermi il fatto che la seconda preghiera del giorno, detta Mattutino o Lodi, doveva terminare sul far del giorno e che il Vespro, la preghiera prima della cena, doveva concludersi a tramonto avanzato, in modo tale che la cena avvenisse prima dello scendere delle tenebre. Proveremo a descrivere un'ipotetica giornata feriale, durante il periodo primaverile, secondo il nostro modo di computare le ore, per un monaco, vissuto nell'alto Medio Evo, di un monastero italiano (tali precisazioni possono sembrare pedanti ma gli orari erano strettamente collegati al sorgere e al calare del sole, cosa questa che cambia in relazione al periodo dell'anno ed al posto). Nel fare questo occorre sottolineare come la Regola scritta da San Benedetto non dia norme precise per ogni momento della giornata, ma cerchi solamente di delineare i caratteri di una grande famiglia che cerca di vivere cristianamente ed ordinatamente, cose molto difficili nei primi decenni del VI secolo d. C. , lasciando in definitiva all'Abate, che Christi enim agere vices in monasterio creditur, la possibilità di organizzare il monastero, e la vita all'interno di esso, nella maniera che crede essere la più giusta, tenendo sempre presente che delle sue decisioni in tremendo iudicio Dei facienda erit discussio. Per queste ragioni la comprensione della vita monastica benedettina non può essere costruita solo sulla Regola di Benedetto, ma anche su alcune raccolte di consuetudini monastiche, su cui una abbondante bibliografia si è ormai formata.
Verso mezzanotte e mezzo circa il monaco, che dorme con i suoi confratelli in un'unica stanza, si alza e scende in coro per recitare la preghiera detta vigilia che dura circa due ore e durante la quale si susseguono quattordici Salmi alternati con tre letture tratte dalle Sacre Scritture ed alcuni Inni, con variazioni per le feste. Terminata la preghiera, il monaco benedettino può tornare a riposare o, come la stessa Regola consiglia, dedicarsi allo studio del salterio o alla preghiera personale, fino alle quattro, quando torna in coro per recitare il Mattutino, che comprende sette Salmi separati da letture ed Inni, e terminare nel momento in cui i raggi del sole cominciano ad intravedersi. Circa mezz'ora dopo, il monaco può liberamente dedicarsi ad una qualsiasi attività fino alle sei circa, quando, al sole ormai alto, scende in coro per la recita della preghiera dell'ora prima. Poco dopo si tiene il Capitolo, la riunione cioè i membri della comunità, che si divide in tre parti: parte liturgica, amministrativa e disciplinare. Nella parte liturgica l'Abate recita una preghiera iniziale a cui segue la seconda parte della preghiera dell'ora prima, la lettura di un capitolo della regola (da qui trae il nome questa riunione) o del Vangelo del giorno a cui segue un commento dell'Abate o di un altro superiore. Nella seconda parte del capitolo si tiene la relazione dei compiti degli incaricati della comunità e la spiegazione degli affari di casa fatta dall'Abate. Al termine della parte puramente amministrativa ha luogo il c.d. "Capitolo delle colpe", momento in cui il monaco colpevole di qualche mancanza si accusa di essa oppure è accusato dai suoi fratelli che ne sono a conoscenza. Dopo il Capitolo il monaco può assistere ad una Messa o celebrarne una se è sacerdote e tornare in coro, per l'ora terza, per la recita di tre Salmi ed una lettura tratta dalle Sacre Scritture. Terminata la breve preghiera dell'ora terza, il monaco deve dedicarsi al lavoro fino a mezzogiorno circa, quando torna in chiesa per la recita della preghiera dell'ora sesta, composta dello stesso numero di Salmi e letture di quello dell'ora terza, a cui segue il pranzo, consumato da tutti i monaci insieme, in silenzio, ascoltando un confratello che legge agiografie od altre letture edificanti. Terminato il pranzo il monaco si riposa dalle fatiche della mattina fino alle due del pomeriggio, quando torna in chiesa per la recita della quinta preghiera comunitaria, detta Nona, che consta dello stesso numero di Salmi e di letture delle due "ore" precedenti. Alla preghiera dell'ora nona seguono alcune ore di lavoro, fino a quando il cielo non comincia a tingersi di rosso, momento in cui il monaco benedettino torna in chiesa per il canto del Vespro, a cui segue la cena, se non è previsto il digiuno, che deve concludersi prima che scendano le tenebre, in modo di poter recitare l'ultima preghiera della giornata, la Compieta, che comprende tre Salmi, una lettura ed un Inno, poco dopo la venuta delle tenebre. Al termine della Compieta il monaco è tenuto ad osservare un rigoroso silenzio, che può essere rotto solo per reale necessità e con permesso dell'Abate, e deve subito ritirarsi nel dormitorio, in modo tale da essere pronto quando, poche ore dopo, sarà svegliato per scendere in chiesa, recitare il Notturno e cominciare una nuova giornata.

Il curriculum del monaco
Colui che chiede di divenire monaco benedettino comincia la sua formazione, secondo quanto previsto nella Regola, con un periodo di quattro o cinque giorni in cui gli sono opposte tutte le difficoltà e le umiliazioni. Se dopo tale periodo l'aspirante ha sempre gli stessi propositi, viene fatto passare nell'ambiente dedicato agli ospiti, ove rimane paucis diebus prima di entrare nel luogo dove sono i novizi, in cui rimane per un anno, affidato ad un monaco maturo, in grado di "guadagnare" le anime, che lo scruti con somma attenzione. Nell'arco di questo primo anno, colui che chiede di diventare monaco si sente leggere ben tre volte l'intera Regola, dopo due mesi, dopo sei ed infine dopo quattro. Se il novizio ha superato le "prove", ed ha sempre la stessa intenzione, promette di osservare la Regola e viene accolto nella comunità, dalla quale non potrà più uscire lecitamente. Prima di essere realmente monaco, il novizio deve emettere i voti di stabilità all'interno della comunità che lo ha accolto, obbedienza all'Abate ed agli altri superiori, conversione dei suoi costumi. Questa "promessa" è fatta in chiesa, alla presenza di tutta la comunità, di fronte a Dio ed ai suoi santi, messa per iscritto e fatta nel nome dei santi di cui si conservano la reliquie nella chiesa e nel nome dell'Abate. Da questo momento il nuovo monaco nec proprii corporis potestatem se habiturum scit, distribuisce i suoi beni ai poveri o li devolve al monastero in cui è incorporato e depone i propri abiti per indossare la veste monastica.

L'abate
In monastero il monaco si trova davanti ad una rigida gerarchia piramidale, che vede al suo vertice l'Abate, il capo ed il padre della comunità, che deve far penetrare nel cuore dei discepoli il fermento della giustizia divina e id est bona et sancta factis amplius quam verbis ostendere. L'Abate non deve chiudere gli occhi sui vizi dei suoi monaci, ma deve correggere con fermezza gli indisciplinati ed i ribelli, esortando a progredire nel bene i discepoli che si mostrano miti, pazienti ed obbedienti, perché cum de monitionibus suis emendationem aliis subministrat, ipse efficitur a vitiis emendatus. Come l'Abate sia eletto non è chiaro, deducendo dalla Regola che anche una minoranza di monaci può eleggerlo, come non si capisce se esso rimanga Abate a vita o debba lasciare la guida dell'abbazia dopo un certo numero di anni. Vicario dell'Abate è il Priore, nominato dall'Abate stesso e suo stretto collaboratore nella gestione degli affari del monastero.

Il lavoro monastico
Oltre che per la preghiera il monaco benedettino è conosciuto anche per il lavoro, del quale Benedetto non dà le modalità ma solo il fine di scacciare l'ozio e non permettere che il monaco si inorgoglisca. Sin dai primi anni il lavoro dei monaci fu solo quello manuale, soprattutto dissodare, disboscare, bonificare e coltivare tutti quei luoghi inospitali e disabitati in cui vengono costruite le abbazie, anche se dopo non molti decenni dalla morte del fondatore con la parola lavoro viene indicata anche l'importante opera degli amanuensi e dei copisti che passano la loro vita a trascrivere i testi che devono arricchire la biblioteca del monastero, che pone fra i suoi interessi anche la conservazione del sapere. Un altro monaco molto importante, specialmente se l'attività prevalente dell'abbazia è quella agricola, è il Cellerario, colui cioè che si occupa, dietro mandato dell'Abate, sic sicut pater, delle suppellettili della comunità, della distribuzione del cibo a tutti i suoi confratelli e di tutte gli affaricontingenti ut nemo perturbétur neque contristétur in domo Dei. Raramente un monaco si sposta da una comunità all'altra o esce dal monastero, che ha al suo interno tutto il necessario per la vita ed sostentamento dei monaci, e comunque è impossibile uscire sine iussione Abbatis. Il monastero è per il monaco la scuola dove imparare il servizio divino, è il luogo dove è "possibile correre nella via dei divini comandamenti" ed in cui occorre perseverare fino alla morte, in modo da "partecipare, mediante l'esercizio della pazienza, alla passione di Cristo e meritare la condivisione del suo Regno".

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