martedì 11 maggio 2010

MdA 04


Il Mestiere Delle Armi (2001)

DATI BIOGRAFICI

 Pietro Aretino (Arezzo 1492 - Venezia 1556) se ne va da Roma nell'estate del 1522, prima che vi giunga papa Adriano VI, da lui vituperato nelle sue pasquinate. Soggiorna per qualche tempo a Firenze presso il suo protettore, il cardinale Giulio de' Medici; poi, a partire dal febbraio 1523, a Mantova, presso il marchese Federico Gonzaga, suo ammiratore. Poi è al campo di Giovanni de' Medici, detto Giovanni delle Bande Nere, uno dei più celebri condottieri del suo tempo, che segue nelle sue campagne militari. Fra i due si instaura un cameratismo che ne fa i compagni di avventure guerresche e amorose. A Reggio Giovanni si innamora di "madonna Paula", moglie del conte Gasparo Sessi, signore di Rolo, e compie per amore prodezze stravaganti. Nel 1524 l'Aretino ritorna più di una volta a Reggio da solo e scrive all'amico le quattro lettere che qui sono raccolte. La situazione erotica sembra invertita: ora è "madonna Paula" che si strugge d'amore per il condottiero lontano, che da parte sua ostenta indifferenza. L'Aretino, a sua volta, si innamora di Laura, cuoca della contessa, ed è lui per primo a riderne e a scherzarci su. Non è da escludere che si tratti di un semplice 'gioco di società'.



Lettera di Pietro Aretino a Giovanni de' Medici da Reggio, [15 febbraio] 1524
ASF: MAP.VI.797

[c. 808r]
Io ringrazio quell'uomo da bene di messer Domenedio, non ch'Amore vi sia buon compagno, ma ch'io veggio in furore chi in furia vi ha tante volte messo; ma ben rinego san Francesco che tutto il male è sopra di me. Io ardo, io sospiro, io piango: ed è cagion di tutto questo una donna, una reina! O infelice Aretino! È possibile ch'io sia condotto a mendicare un sguardo, come se gli sguardi fossero una commenda? Io, per grazia di Dio, sono in essilio fuggito come il boia, ma se Cristo vole, se Cristo vole... Basta.
Noi tornammo da Ruolo, né so qual sia stata la cagione. Madonna Paula sempre d'allora in qua è stata in lacrimarum valle. Ella è pallida, la non si vede più né in carretta né a finestre e mi pare intendere che la vada a Bologna. Ahi crudelaccio! Ah ingrato! Come potete voi sopportare ch'una che vi ama, vi adora, vi teme, si conduca a ire per il mondo con ferma disperazione? Io per me gli ho compassione e la conforto meglio ch'io posso; e Dio il voglia che la vadi bene, e credo che la tornería a Ruolo volentieri, purché vi piacesse. Io compongo adesso cose da fare rintenerire i sassi, e questo la infelice donna mi fa fare per voi. Ma innanzi che Vostra Signoria Illustrissima gli abbia, quella leggerà un mio sonettino, il quale è pubbligo al mondo; ma nol mostrate in Mantova, perché faría perdere il gusto a quelle trasparenti e snelle mule secche tanto onorate da messer Giannozzo; e se pur lo volete mostrare, mostratelo a messer conte Ambruogio senza pennacchi.
In Reggio s'è detto che Vostra Signoria era ita a lo 'mperadore ed al sofì, di modo ch'io vo disperato insieme con più d'una persona. Ringrazio san Rocco che sète costì e credo al primo capriccio vi vengo apposta in posta.
[c. 808v]
Or torniamo al sonetto:
Io ch'un secolo e un mezzo ho buggerato
E credea buggerar favente Deo,
Perché dei nostri antichi il Coliseo
Volentier dai moderni è visitato,
Ma non so qual gaglioffo mio peccato
O quale influsso imbriaco e giudeo
Fa ch'io, che 'l fine merito d'Orfeo,
In Reggio sia di donna innamorato.
Quest'è miracol, questo è caso strano,
Non che si squarti vivo il Soderino,
Né che fusse pastor mastro Adriano!
O pazzo in forma Camerae Aretino!
Ben può dire ora ogni fedel cristiano
Ch'io non merto la grazia di Pasquino!
Ahi becco Amor facchino!
Ch'io ti metta in un destro t'apparecchia,
O fa' che torni alla mia arte vecchia.
Illustrissimo Signore, siate certissimo che tutti torniamo a la gran madre antica e se io esco con onor mio di questa pazzia buggerarò tanto, tanto e tanto che buon per me e per gli amici miei! S'io n'esco dirò tanto e tanto e tanto male de chi s'impaccia con donne che mal per loro!

[c. 809r]
Altro non ho da dirvi se non che colei che più che l'anima vi ama è vostra, né pò essere mai d'altri; e sì come de l'amor suo vi fece gran dono, così del corpo vi vuole far presente; e così si sottoscrive in questa presente scritta di propria mano. Sicché non fate più la ninfa, perch'ogni troppo è troppo. Supplico Vostra Signoria si degni dire alla Eccellentissima Illustrissima Marchesa ch'io le sono schiavo eccetera.
Io Paula afermo quanto di sopra se contiene e vi son servitrice anco che non me abiati a credere.
Di Reggio, il dì del giudizio 1524.  Di Vostra Signoria Illustrissima perpetuo servo Pietro Aretino
[c. 809v]
[sovrascritta]
Allo Invittissimo e Magnanimo Signore il Signore Giovanni de' Medici, mio Patrone, al [corpo] [s]uo e di Cristo, in Mantova



Lettera di Pietro Aretino a Giovanni de' Medici da Reggio, [1524]
ASF: MAP.CXXII.296

 [c. 299r]
Infinite adimande degli uomini e delle donne di Reggio circa il tornare di Vostra Signoria, Illustrissimo Patrone, mi sforza a scrivervi; ed il Messia non si espetta da Romanello con tanto desiderio e veramente è vedova questa terra per la lunga assenza di voi e la contessa vi brama, madonnna Girolema vi chiama e la infelice serva vostra vi piange e di così fatta maniera ch'io dubito che tosto non sentiate nuova di lei asprissima.
Signore, io vi giuro, per la sincera servitù colma di fede che tengo co le magnanime virtuti vostre, che non credo che donna sia al mondo più innamorata di lei; ed è a tal condotta che movería a pietà, non dico un uomo, ma la stessa crudeltade; e per Dio che le donne, già invidiose della buona fortuna sua che un Giovanni de' Medici invitto le aveva dato per amante, hanno più che compassione alla afflitta vita ch'ella mena, priva d'ogni conforto; e vi acquistate nome de ostinato e de quasi ingrato, massime avendo voi solo mosso ' amare quel freddo core, che mai persa dietro nissuno soldato aveva; e non di donna è più il suo angelico sembiante, ma di sepolta persona, e il suo cibo sono le lagrime, i sospiri ed il chiamare indarno il nome vostro; e s'ella fusse risoluta che 'l tornar vostro fossi lungo, non darei della sua vita niente. Sappiate, unico Signore mio, che non dico bugie, che, al corpo di Cristo, non me l'arei creduto, se mille volte il dì nol vedessi. Scrivetele almeno qualche volte, e abbiate compassione al suo nuovo ed inesperto amare e venitevi a vivere seco lieto, che son certissimo ch'ella niuno pericolo, niuno disagio e niuna cosa la trarría più del non contentarvi; e così, favole del vulgo, aranno insieme con le sue e vostre pene dolce fine; e son anco certo che 'l voler gettar via il tempo che in amarla speso avete vi dorrà in stranio modo; e più vi rincrescerà l'averlo senza frutto dispensato. E di nuovo vi replico che costei non solamente il corpo esporría ai vostri piaceri, ma l'anima. Sicché fate offizio di costante amante e di savio, concludendo le passioni sofferte con gratissimi affetti.
Parvi ch'io consigli bene? Al cul de Dio, ch'io sono in modo acconcio che il trarre i sassi è la minore, né fu mai omo che stessi peggio di me. Ma se io n'esco, s'io scappo farò dare uno trentone a quello sfasciato di Cupido. Non altro. Alla buona grazia di Vostra Signoria Illustrissima bascio vostre mane. De Reggio becco.
[Di Vostra Signoria Illustrissima]
[...]
[cc. 299v - 299-bisr: bianche]
[c. 299-bisv]
[sovrascritta]
Al Magnanimo ed Invitto Signore il Signore Giovanni de' Medici, mio unico Patrone, in Mantova


Lettera di Pietro Aretino a Giovanni de' Medici da Reggio, maggio 1524
ASF: MAP.CXXII.106

[c. 106r]
Io sono a Reggio, Dio grazia; ed al corpo di Cristo che mi pare essere ne l'altro mondo e si conosce che non c'è più il signore Giovanni e se ci fossi la peste ci saría più allegrezza.
Scavalcai in casa di madonna Pavola per riverenza del vostro amore; e non crediate che quando giunsi trovassi quel volto di già, ma una malinconichissima cera di lei e della madre e di tutti, e tutti ammalati: le donne sciagurate, cioè le fantesche, e le patrone indiavolate; e ci stetti un dì e poi mi fuggi' in casa al Cavalierotto, che, s'un'altro dì fossi restato fra tanta accidia, era forza a entrare in qualche umore malinconico.
La poverina Pavola è dal conte Gaspare stata impregnata e 'mpegnata. Dico che 'l furfante l'ha disfatta, come si compie de' turchi e corsieri, e poi l'ha ingravidata; e per mia fé che, si quel primo dì che di lei v'innamorasti fossi stata come ella è adesso, non si metteva tante volte i basti a' muli, non si digiunava i doi giorni, non si rompeva le colonne con le smisurate lance, non si giostrava tanto, non si sospirava die ac nocte. E insomma ella m'ha fatto paura, tanto è magra, pallida, collerica, ritrosa e malvestita. La madre non vi dico: pare una satanassessa. Iesus! lo spedale è più lieto che la casa loro; e vi conforto, passando di qua, a fare la via lungo le mura, per non vedere dove avete indarno spesa la gioventute vostra. E si non che non voglio essere tenuto mala lingua, direi ch'elle tanto si ricordino di voi quanto voi vi sète ricordato de loro.
Io mi burlo. La meschina con quel corpo grande, ch'ella sempre sospirando me dice: - Che fa il Signore ora? Chi ama il Signore ora? Volm'egli bene? La [...] è più bella de me? - Ed io a' giuramenti, alle bugie, agli scongiuri; e così la trattengo ch'ella non s'ammazzi; e con questo conte Gaspari domani o l'altro sarà qui a fare del resto ed a Lodi ha giocato l'arme ed i cavalli ed anderà [c. 106v] sul carro come Sciarra Colonna, a laude e gloria di quel poltrone di Marte. Alleluia, alleluia, eccetera.
M'era scordato. Oh voi avete acquistato gran biasimo fra gli armorum ghelfi, perché sète stato causa che i Grigioni abbiano mangiato come uno carciofo romanesco Renzo da Ceri; e si stima che 'l papa non vi vorrà assolvere di sì gran peccato. Pur non dubitate, Dominus providebit. Le nuove di qua son miracolose. Madonna Cornelia ha tolto marito un milanese, il quale ha diecimila scudi d'entrata, tutte le volte che 'l Re possegga lo stato di Melano, ed è già 8 notti dormita col nuovo sposo, il quale ha sudato forte a mettergli la coda fra le gambe eccetera. Madonna Camilla è gravida. Al corpo di Cristo ch'ella lo giura a ognuno e si stima ch'ella farà qualche bucifalas; ed io gli ho tocco il ventre, né messer Francesco entri in gelosia, che l'ho fatto senza lussuria; ed ancora la buona donna mette i denti, così afferma ella, ed è molto strania la mia putta Camilla.
Quanto di buono ho trovato: la contessa dabbene e madonna Giroloma divina, che sempre pregono Dio per voi e vi si recomandeno. Così il Cavalierotto vostro per loro col core e co l'anima; così messer Aurelio, predicatore della gloria vostra, e Franceschino, innamorato più che mai della fama che di voi rimbomba per l'universa terra ed infernale. E tutta questa città vi adora.
Non altro. S'io avessi creduto fare piacere a madonna Pavola, adesso che ho occasione di scrivervi, gli aría dimandato s'ella da voi voleva niente; ma mi pare che sia stato più suo piacere a non fargnene intendere e credo che questa lor desperazione venga perché le cose di Mantova vanno di mala sorte.
[c. 106-bisr]
Messer Giannozzo è stato qui; Bernardo non l'ho visto e predica la bontà del papa, il quale - s'egli dice il vero - gli ha dato un 50 scudi ed un zaffiraccio da cardinale e doimila agnusdei; e dice che Clemente è santo e che gli ha perdonato tutti i suoi peccati ed ha menato un bel turco seco.
Al Contazzo mille volte, al Buschetto ottocento, a messer Bartolommeo doimila me recomando, ed al mio messer Francesco.
De Reggio, di maggio, un dì che non me ne ricordo, 1524.
De Vostra Signoria Invittissima oblegato servitore l'Aretino

[c. 106-bisv]
[sovrascritta]
Al Magnanimo ed Invittissimo Signore Giovanni de' Medici ecc. ubi sit

 


Lettera di Pietro Aretino a Giovanni de' Medici da Reggio, [1524]
ASF: MAP.CXXI.415

[recto]
Illustrissimo Signore, per comandamento di Vostra Signoria Lotto mandò a Mantova per i denari, i quali ha riceuti ed a quella mandati gli aría s'egli persona avessi atta a portargli trovata. Io, per far bene, non ho voluto che gli mandi non sapendo per chi; poi non so come per la via si vadi. Vostra Illustrissima Signoria si degni comandare quello che d'essi si faccia.
Di novo la signora Paula a Vostra Signoria si recommanda ed a 22 ore, carca di sospiri, è ita a letto ed ha tenuta il Moretto sino a 3 ore di notte a ragionare. O pensate quanto gli saría caro l'esser con voi. La vostra speranza e dea non ha voluto che Bartolommeo si parta; anzi in casa ella e la madre l'ha voluto ritenere, con dir che pò la Vostra Signoria disponere in maggior cosa e cazzovinculo, salvando l'onore di messer Gian Pietro.
sempre servo Pietro Aretino

[verso]
[sovrascritta]
A l'unico Signore Johannes de' Medici, immortalissimo Capitano e mio Patrone, in la via

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