lunedì 10 maggio 2010

NdR 08


Il Nome Della Rosa (1986)

Il monastero benedettino
Nella Regola Benedettina non si dice poi molto su come deve essere costruito un monastero e solo al cap. LXVI si afferma che “monasterium autem, si possit fieri, ita debet costitui, ut omnia necessaria, intra monasterium exerceantur”. Il fine di questa precisazione non è sconosciuto, visto che Benedetto precisa che questo serve “ut non sit necessitas monachis vagandi foris” dato che questo “omnino non expedit animabus eorum”. Le abbazie (questo termine indica il monastero governato da un Abate, anche se nel senso comune esso viene usato per indicare un qualsiasi monastero) sono state costruite dai monaci in luoghi generalmente impervi, isolati ed abbandonati, al fine di poter meglio praticare solitudine e meditazione. In questi luoghi sono stati gli stessi monaci a costruire i monasteri, prima in modo rudimentale e poi, con il passare dei tempi, quando essi divennero gli unici detentori del sapere, e di conseguenza anche delle scienze architettoniche, sempre più progredito, fino al dar vita a veri e propri capolavori. Il modello cui si rifanno tutti i monasteri è quello della domus di una famiglia appartenente ad una “gens” romana dei tempi di Benedetto, che poi nel corso dei secoli è divenuto il modello di tutta l’architettura monastica occidentale. Lo scopo sociale che i benedettini si prefissero, nel momento della loro fondazione, fu la conservazione del sapere e la coltivazione delle terre. Conseguenza inevitabile di ciò fu che i monasteri divennero nello stesso tempo centri di devozione, di cultura e di benessere, e dovettero rispondere a numerose esigenze di vario ordine, che si tradussero in un numero elevato di edifici che andava a comporre il monastero. Tutti questi manufatti non sorgevano simultaneamente nel momento in cui veniva dato vita al monastero, ma si sommavano nel corso degli anni in base alle esigenze della comunità ed al numero dei suoi componenti. Elementi centrali del monastero benedettino sono la chiesa ed il chiostro, e proprio il chiostro nei secoli ha indicato il monastero a tal punto che, anche oggi, chi ci vive si dice che ha scelto una “vita claustrale”.  Il chiostro, che nella domus romana era un cortile interno su cui si affacciavano le varie stanze e che serviva per raccogliere l’acqua, diviene luogo in cui i monaci meditano passeggiando, tanto che spesso è affrescato con scene tratte dalla agiografia benedettina, e dal quale passare per raggiungere meglio tutti i locali del monastero. Spesso i chiostri erano più di uno, di dimensioni diverse, allo scopo di per poter costruire più edifici in minor spazio possibile e con le vie d’accesso più vicine tra loro. La chiesa, che Benedetto chiama sempre oratorio, segue il modello della basilica anche se subisce diverse variazioni, relative alle necessità della comunità monastica, prima fra tutte il fatto che deve accogliere il coro, il luogo cioè da dove i monaci comunitariamente recitavano l’ufficio divino. Spesso il coro occupa l’abside, esposta sempre a est, che a tale scopo viene allargata o ne viene realizzata una speculare, oppure si estende lungo la navata centrale, dentro un recinto di stalli che divenne nei secoli grande e molto ricco. La chiesa abbaziale, o monastica, non serve prevalentemente per il popolo di Dio, ma per il gregge dei monaci che vi abita, ed è per questo che cerca di rispondere prevalentemente alle loro esigenze. Accanto alla chiesa si dispongono tutti gli altri edifici collegati con la vita del monastero, che possono avere apertura in uno dei chiostri interni, fra i quali hanno sempre ricoperto una notevole importanza gli scriptoria, quei luoghi cioè dove si copiavano manoscritti, le “grange” (sorta di granai), la foresteria e l’ospedale, costruiti in modo da essere dotati di tutti i servizi separati da quelli dei monaci. Generalmente costruito ad un piano superiore, il dormitorio è originariamente un unico stanzone in cui tutti i monaci dormivano insieme; molto presto, però, il camerone unico dovette cedere il posto alle celle singole. Notevole importanza per la vita stessa del monastero è ricoperta dalla biblioteca, ove si accumulano i testi che raccolgono tutto lo scibile del tempo e che serviranno alla formazione dei monaci, copiati e miniati pazientemente al fine di evitare la loro distruzione. Posto in un piano basso, il refettorio è unico per tutta la comunità, anche se Benedetto prevedeva che l’Abate avesse una mensa separata, non specificando se tale termine dovesse avere la valenza di altro refettorio o semplicemente di altro tavolo. Anche la sala capitolare è presente in quasi tutti i monasteri, visto che Benedetto raccomanda di convocare tutti i fratelli in consiglio ogni qual volta se ne presenti la necessità. Intorno a questo nucleo centrale di edifici, chiesa, refettorio, dormitorio, sala capitolare, scriptoria e biblioteca, si sviluppano una serie di altri edifici come le stalle, i pollai, l’ospedale, la stanza dove potersi lavare, le abitazioni dei famigli e dei prebendari del monastero, la casa dei novizi, frantoi, birrerie, officine, forni e fornaci, molini ed altri ancora che variavano a seconda dei vari bisogni della comunità e del più ampio contesto geo-economico.
Gli uffici delle Ore canoniche erano otto: Mattutino (prima dell’alba), Laudi (al levar del sole), Prima, Terza, Sesta, Nona, Vespro (al tramonto), Compieta (dopo il calar del sole).
Le Ore canoniche erano celebrate entro le comunità monastiche, ma i Vespri anche nelle chiese parrocchiali. Ogni Vespro comprendeva la lettura dei salmi (di solito cinque) intercalati da antifone, il Magnificat, un inno e le litanie.
I testi che dovevano essere letti, recitati o cantati durante le cerimonie di culto erano raccolti nei libri liturgici. Il più antico ed ampio fu il Sacramentario; più ridotti erano il Graduale contenente i testi della messa e l’Antifonario, contenente i testi degli uffici. Vi erano anche libri di contenuto più specifico come: il Salterio, l’Evangelario, l’Innario ed altri.
Un aspetto certamente di grande rilevanza che influì in modo profondo in tutta la produzione musicale sacra e nelle cerimonie liturgiche stesse, fu l’introduzione del latino come lingua ufficiale al posto del greco. L’aspetto linguistico  è stato probabilmente l’aspetto più difficile da superare per una popolazione che nella maggior parte dei casi era analfabeta.


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